lunedì 12 marzo 2018

L’archivio dei terremoti è nascosto nel sottosuolo


Solo a partire dal 19° secolo i sismografi ci permettono di localizzare e registrare l’intensità dei terremoti creando un archivio storico grazie al quale è stato valutato il rischio sismico delle diverse regioni italiane. Tuttavia, i dati in nostro possesso coprono un periodo estremamente breve nella concezione geologica del tempo, e per andare ancora più indietro nel passato è necessario accedere agli archivi naturali del sottosuolo.

Guardando le immagini del terremoto del Centro Italia risulta evidente più che mai come l’energia che si scatena sulla superficie con la propagazione delle onde sismiche, non solo devasta le opere dell’uomo, ma causa anche la formazione di nuove fratture e la caduta di blocchi dai versanti delle montagne. Le faglie aperte sui versanti del Monte Vettore nelle Marche ne sono un esempio, così come le frane avvenute sul Gran Sasso a partire dalla scossa del 24 agosto. Tuttavia, quello che non possiamo vedere con chiarezza è ciò che è avvenuto nel sottosuolo, nel luogo dove si è sprigionata tutta quell’impressionante energia. Un geologo attento può leggere nel paesaggio le evidenze dell’attività tettonica del passato, ma molto spesso queste sono mascherate dall’erosione, ed è veramente difficile assegnare una cronologia agli eventi e riuscire a capire quando e con quale frequenza una zona è stata colpita da sismi nelle ultime migliaia di anni.
Lo strumento più potente per leggere la sismicità del passato è rappresentato dalle stalagmiti, formazioni di carbonato di calcio, frequenti in moltissime grotte del mondo, e che hanno registrato i terremoti sotto forma di microfratture, cambi del proprio asse di sviluppo o crolli. Le stalagmiti sono un po’ come gli alberi, dove gli anelli di crescita si possono datare con sistemi radiometrici e quindi è possibile assegnare una data certa a ogni evento con notevole precisione, spingendosi fino ad oltre un milione di anni dal presente
Durante l’esplorazione del sistema di grotte dei Piani Eterni nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi mi ero imbattuto in un enigma affascinante: in una delle gallerie più profonde avevamo scoperto una grande stalagmite crollata come un tronco d’albero sul pavimento della galleria sotterranea. Già alla prima vista era evidente che questa colonna, se rimessa in piedi nella sua posizione originale, non poteva essere contenuta tra il pavimento e il soffitto, troppo basso in quel punto. Grazie a una datazione assoluta effettuata sulla colonna con il metodo dell’Uranio/Torio è stato possibile dedurre che centonovantamila anni fa un terremoto, chissà di quale intensità, aveva spostato gli strati di roccia abbassando il soffitto di quella caverna e causando il crollo della grande colonna. Difficile immaginare cosa avrebbe significato trovarsi laggiù in quel momento.
Ma questo non è l’unico caso. Tracce di terremoti nelle stalagmiti sono state individuate in moltissime grotte italiane, tra cui anche nelle famose Grotte di Frasassi. Sui Monti Lessini alle spalle di Verona un’altra grotta ha fornito una stalagmite le cui variazioni nell’asse di crescita sono state associate al terremoto di Verona del 1117, uno dei più devastanti sismi mai avvenuti nella penisola italiana (considerato di grado 8 della Scala Mercalli e che ha causato la distruzione di Verona, Padova, Trento e Cremona). Ma non solo, la stessa stalagmite ha rivelato la presenza di altri sismi di simile intensità avvenuti con una cadenza circa millenale fin dalla preistoria.
Ricercare i segni dei terremoti del passato nel sottosuolo potrebbe apparire una ricerca fine a sé stessa, un fatto di puro interesse storico. Ma quando ci si trova con la terra che trema sotto i nostri piedi ci si rende conto improvvisamente che, entrando nel concetto di tempo geologico, tutto è collegato. Il terremoto è solo uno sui milioni di eventi sismici che sono responsabili della formazione della struttura naturale del nostro paese, del sollevamento prima delle Alpi e poi degli Appennini. Ci troviamo di fronte a un processo che nel nostro concetto umano del tempo facciamo davvero fatica a comprendere, un evento eccezionale per noi uomini, che invece ragionando coi tempi di evoluzione del nostro pianeta rientrerebbe nella normalità.  Trovare degli indizi che ci dicano se una zona del nostro paese era attiva in un passato non così geologicamente lontano, ci permette di prepararci per il futuro e a considerare la nostra terra come un essere vivo la cui enorme energia va assecondata e non ignorata.



La grande faglia di Cimia emerge in superficie e taglia il sistema carsico dei Piani Eterni. Molte gallerie di questa grotta sono state intersecate da attività tettonica nell'ultimo milione di anni. 


Nella galleria del Teatro nei Piani Eterni una grande stalagmite è crollata 190 mila anni fa a causa di un terremoto che ha spostato il tetto della caverna. 



lunedì 5 febbraio 2018

Dentro la realtà immaginaria di Jules Verne

Messico, stato di Chihuahua. Presso il villaggio di Naica, tra montagne desolate e deserti a perdita d’occhio, si apre la più grande miniera sotterranea dell’America Centrale. Al suo interno è stata accidentalmente scoperta una grotta incredibile che cela il segreto dei più grandi cristalli conosciuti sulla terra. La visione di questi prismi colossali va oltre l’immaginazione, e dimostra che l’esplorazione del mondo sotterraneo è appena cominciata.

Dopo oltre un secolo di attività la miniera di Naica ha deciso di chiudere i battenti. Gli scavi nelle nella rampa “San Francisco” avevano raggiunto oltre mille metri di profondità inseguendo uno dei più ricchi filoni di argento conosciuti al mondo, ma ormai neppure le più sofisticate idrovore riuscivano a pompare all’esterno i milioni di metri cubi d’acqua che altrimenti allagherebbero le gallerie sotterranee. Peñoles, la compagnia messicana che ha gestito questo gioiello dell’ingegneria mineraria, ha deciso nell’ottobre del 2015 di spegnere tutti i macchinari, lasciando che le acque riprendano possesso di quel labirinto oscuro. Per sempre.
Il centro minerario di Naica è destinato oramai a diventare uno dei tanti paesi fantasma dei deserti messicani. Eppure questo luogo ha rappresentato un vero punto di svolta nella conoscenza del mondo sotterraneo.
La prima grande scoperta era avvenuta già nel 1910 quando alcuni minatori avevano aperto un varco che portava a una caverna sotterranea tempestata di cristalli di gesso, solfato di calcio, che come lame taglienti raggiungevano fino a due metri di lunghezza.
Ma nessuno, neppure il geologo più visionario, immaginava quello che sarebbe stato scoperto nei primi anni duemila, mentre gli scavi continuavano al Livello 4 della miniera. Due minatori, i fratelli Delgado, dopo aver fatto saltare l’ennesima mina, avevano abbattuto un diaframma di roccia che dava accesso a una grande cattedrale naturale. Quando vi entrarono rimasero increduli alla vista di cristalli trasparenti giganteschi. Alcuni arrivavano ad oltre 12 metri di lunghezza. La notizia della scoperta fece il giro del mondo. Ma esplorare la “Cueva de los Cristales” era impossibile, data la temperatura di quasi 50° centigradi e un’umidità vicina al 100%. Era possibile solo affacciarsi a quella meraviglia, entrarvi per pochi minuti poteva rappresentare la morte.
Nel 2007, ancora studente di geologia all’Università di Padova, avevo avuto la fortuna di entrare a far parte dell’Associazione di Esplorazioni Geografiche La Venta. Proprio in quell’anno gli speleologi e i tecnici della famosa organizzazione italiana stavano sviluppando particolari tute refrigerate e respiratori per poter esplorare la Cueva de Los Cristales. Per non so quale privilegio del destino mi trovai così a varcare la soglia di quella caverna a poco più di vent’anni. Con tuta e respiratore eravamo riusciti a spingerci all’interno della cattedrale sotterranea per un centinaio di metri fino a dove una strettoia tra i cristalli ci aveva impedito di proseguire oltre. In quel punto tutte le pareti erano specchi splendenti e l’atmosfera era così meravigliosamente irreale da farmi sorgere il dubbio di stare vivendo un’allucinazione.
Tuttora, dopo quasi dieci anni, il ricordo della Cueva de los Cristales rimane sospeso tra il sogno e la realtà. Nonostante abbia potuto vedere con i miei occhi quegli immensi cristalli, la parte del mio cervello razionale è rimasta incredula a tanta perfezione. Eppure quel luogo è solo una finestra su chissà quanti altri mondi di cristallo che rimarranno per sempre a noi ignoti, nascosti dal mantello della loro oscurità. Ancora non esistono strumenti geofisici che possano dirci con certezza e precisione dove si trovino altre caverne come questa. L’unico strumento per sognarle è la nostra fantasia.
Provate quindi a immaginare per un momento che centinaia di metri sotto i vostri piedi si sviluppino caverne immense dove calde acque termali, come geologici liquidi amniotici, abbiano dato forma alle più bizzarre strutture minerali. Grandiose e scintillanti. Così Jules Verne aveva fantasticato il suo “Viaggio al Centro della Terra”.

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Proprio Verne nei suoi romanzi ci ha insegnato che l’ignoto ci permette di viaggiare con la mente e immaginare cose che pensiamo non possano esistere e invece sono semplicemente perse nell’oblio di una terra sconosciuta. La scoperta della Cueva de Los Cristales ci ha insegnato che talvolta la realtà supera la fantasia.

Nel 2007, pronti per entrare nella Cueva de Los Cristales. 

Nel gigantesco geode di Naica (foto Paolo Petrignani/La Venta)