martedì 26 novembre 2013

Auyan Tepui: nella dimora degli Dei


Ecco il nuovo video montato da Vittorio Crobu sulla spedizione di marzo scorso. Giusto per stimolarci la voglia di tornare lassù!


martedì 19 novembre 2013

Nel Grand Moulin del mare di ghiaccio

Il tempo di sistemare due cose e si parte per la Francia, un venerdì sera piovoso di novembre. Le due giornate di sole spettacolari che ci aspettano sembrano inimmaginabili guidando nella notte tra nebbie e acquazzoni. 
Ma la mattina il Mer de Glace si staglia di fronte a noi, in uno scenario maestoso, chiuso ai lati da montagne come i Dru e l'Aguille de Gran Chamorz, e sullo sfondo niente di meno che la parete nord de  le Grand Jorasses e il Dente del Gigante. 
Ma noi non saliamo, bensì scendiamo... e  nel ghiaccio. Al centro della lingua in ritiro ci avviciniamo al Gran Moulin, mitica cavità glaciale discesa la prima volta già nel diciannovesimo secolo. Mentre montiamo le tende le morene laterali scaricano cascate di sassi, ogni tanto un macigno grande come un automobile cade verso valle facendoci volgere lo sguardo un po' spaventati. Ma noi siamo al sicuro, al centro del ghiacciaio, con le nostre tendine in lento movimento su questa nave di ghiaccio. Già la sera cominciamo ad attrezzare. Il pozzo è maestoso ma ci frega dopo circa 60-70 metri di fronte a dei balconi di neve sventata che nascondono la prosecuzione. Ma ormai è mezzogiorno di domenica mattina... comincia la lunga marcia verso casa... La prossima volta ci ritaglieremo più tempo, per non farlo sembrare semplicemente un sogno onirico in una notte piovosa della pianura padana. 

Un ringraziamento a Simond per averci fornito viti, piccozze e ramponi. 
Hanno partecipato: Alessio Romeo (capo spedizione), Francesco Sauro (filosofo), Daniela Barbieri (modella), Andrea Pirovano (saggio), Matteo Barison (ingegnere)
















mercoledì 23 ottobre 2013

Cavenauts tales

Ecco il video sull'esperienza CAVES di quest'anno.


domenica 15 settembre 2013

CAVES arrivano gli astronauti

Oggi è iniziato il corso, potete seguirci sul canale youtube dell'ESA, ogni due giorni verrà caricato un video sulle attività.

http://www.youtube.com/user/ESA 





domenica 8 settembre 2013

Imawarì Yeuta sul numero di settembre della National Speleological Society of America

Esce questo mese un articolo sull'esplorazione di Imawarì Yeuta in Venezuela, scritto da Francesco Sauro, Freddy Vergara, Antonio De Vivo, Jo De Waele e Jesus Lira!

La copertina è di Vittorio Crobu.

Vi annuncio anche che sul numero di ottobre di M360, la rivista del Club Alpino Italiano sarà presente un bel portfolio fotografico sulle esplorazioni di quest'anno in Venezuela e Messico.


Quanto lontano possiamo andare?

Pubblico un mio post apparso pochi giorni fa sul blog dell'Agenzia Spaziale Europea. Riflessioni sul senso della parola lontananza...

Buona lettura!


FROM CAVES TO SPACE: JUST HOW FAR WE CAN GO?


We all know that space exploration is one of the most impressive challenges of our time, evoking the mysteries of a universe without limits, something impossible for human beings to conceive of.

Immersion into the Earth,
the first shaft of Spluga della Preta 
The hardest thing to imagine is the massive distance that a spaceship will have to travel to reach other planets such as Mars or asteroids even further afield. We can talk about hundreds of thousands kilometres, but numbers are not enough to convey the deep sense of isolation and loneliness that astronauts will have to face during interplanetary travel. People normally think about a journey in terms of time: How long will it take me to fly from Cologne to Houston? How long will this Soyuz take to reach the Space Station from the Baikonur launch pad? What is the furthest place on Earth that you can reach from your office chair?

Distance is probably the most relative concept in our fully connected world. The time needed to reach a place now depends only on the availability of means of transport and money... 

Rome might be very close for a Japanese manager on an international flight, but unthinkably far for a property-less nomad living in the Sahara desert. For humans, space on Earth expands not through the laws of physics, but according to social status and the availability of technology.


Returning to the Universe, even if our astronauts travel at 28,000 km/h, it will take them over six months to reach Mars. Their communications from the red planet will take up to 20 minutes to reach Earth, even travelling at the speed of light. They will have to wait a further 20 minutes for our reply, and in the event of an emergency, nobody will be able to reach Mars and rescue them in a matter of hours.

This sense of immense distance is really unusual in our modern world. But surprisingly, some humans can claim to have experienced something similar: through exploring remote caves under the surface of the Earth.

Exploring the glacier cave "El Cenote" in the heart of Dolomities.
But what is really interesting is that there are no aeroplanes, space shuttles, submarines or robots able to reach the deepest and furthest parts of these caves. Only humans can do it, climbing with their own feet and hands, rappelling on ropes and crawling through tight squeezes for hours – sometimes days – in total darkness, impenetrable but for their lamps. People who in their ordinary lives are employees, sales staff or lawyers become geographic explorers in their free time. More often than not, they don’t know they are pushing back the boundaries of the known Earth, tracing its underground surfaces…

The most recent and extreme explorations have reached depths of over 2000 metres below the surface (e.g. the Voronya cave in Abkhazia) and travel many tens of kilometres from the entrance. For example, in the Sneznaya cave, Russian cavers need about five days of progression to reach the camp at the bottom of the cave and around seven to come back to the Sun with all their equipment. Their explorations inside this cave can mean spending more than one month underground, with no communication to the outside world.

Exploring the frozen depths of Dark Star cave
in the Boysun Tau mountain range, Uzbekistan
Similar ventures are happening in many other places around the world, but no one knows about them because cavers are just ‘ordinary’ curious people who don’t need anything more than passion and courage to expand human knowledge.

So, where is the most distant place on Earth? I suspect most people would say “the Antipodes”. But this is not true, because the places that take the longest time to reach on Earth are the depths of caves. Inside caves, there are no fast means of transport and no one can help you in the event of an emergency: if an accident happens, the rescue team could take tens of hours or even days to reach you. Lost in these labyrinths, explorers feel a real sense of loneliness and isolation. You are thousands of miles further than in any other place you could be on the Earth’s surface.

That’s why the European Space Agency organized the CAVES course, which probably represents one of the most challenging experiences for an astronaut who may be sent on an interplanetary mission in the future. The exploration of the underground world is a great analogue of these long-distance, long-term space missions.

But just how far we can go? Maybe this is the question that both troubles and inspires astronauts and cavers alike.


Francesco Sauro

mercoledì 14 agosto 2013

Preparing for CAVES 2013


I preparativi di CAVES 2013 sono in corso. Potete seguirci sul blog http://blogs.esa.int/caves2013/


A presto ci sarà anche un mio post sul blog dell'ESA...

lunedì 13 maggio 2013

Un ricordo di Attilio Benetti


Attilio Benetti, 1923-2013


Attilio Benetti, Tilio per i suoi amici, se ne è partito per la sua ultima esplorazione il 20 aprile di quest'anno. Una persona che ha rappresentato per molti un punto di riferimento, per le sue storie speleologiche, le sue conoscenze scientifiche, ma soprattutto per la sua statura di grande saggio, sempre con i suoi sguardi e le parole giuste per trasmettere la sua profondissima passione per la ricerca, l'esplorazione, l'avventura nel suo significato più amplio. 
Non molte persone conoscono le storie legate alle esplorazioni speleologiche effettuate dal Tilio negli anni 60 e 70. Tuttavia Attilio ha rappresentato una delle radici basilari della speleologia veronese e italiana, partecipando dapprima alle spedizioni del Gruppo Grotte Falchi di Mario Cargnel e poi fondando insieme a un gruppo di giovani la Società Amici della Natura nel 1960.
Prima di tutto bisogna ricordare che Attilio è nato e cresciuto in un luogo particolare, una contrada che prende il nome proprio dal “Covolo”, grande caverna che ha sempre esercitato un forte fascino sia per la mitologia del luogo sia per l’interesse scientifico di chi come lui, già da giovanissimo, era spinto dalla curiosità di conoscere fossili, rocce e le strane formazioni del mondo sotterraneo.
Tilio mi ha raccontato che già bambino, negli anni trenta, aveva deciso di esplorare quella grande caverna che si apriva proprio dietro le mura di casa. Dopo aver rubato i cerini, una candela e un filo di lana (per non perdersi) dai cassetti di casa, si era diretto verso il buio della grotta, solo e spavaldo come solo i bambini sanno essere. Scendendo però tra i massi aveva avvertito una voce mostruosa, che minacciava di bollirlo in un pentolone se avesse continuato. Convinto che si trattasse di uno di quegli orchi di cui si narrava nelle serate di filò se ne era scappato. In realtà il padre aveva notato la mancanza della candela e capite le intenzione del giovanissimo Attilio lo aveva preceduto nella grotta.
Lo spavento non fu sufficiente a fargli passare la curiosità verso ciò che si celava nelle “spiughe” che si aprivano nei pascoli dei monti lessini e così ben presto cominciarono le scorribande nelle varie grotte della zona, a sfatare miti e leggende, ma anche a creare nuovi interrogativi quando vi incontrava strane formazioni o resti di animali impressionanti come l’orso delle caverne. A quel tempo la speleologia non era organizzata, ci si improvvisava esploratori e così pure le tecniche erano assai approssimative.
Tuttavia questo non impedì al Tilio nel 1952 di offrire il proprio aiuto allo storico soccorso dello speleologo francese Marcel Loubens che era precipitato nell’abisso della Pierre Saint Martin, un pozzo profondo ben 346 metri. Attilio si trovava in Francia per lavoro e saputo dell’incidente si era recato sui Pirenei, per offrire il suo aiuto nelle difficili manovre di recupero della barella sul profondissimo pozzo. Poi purtroppo lo speleologo francese morì e si decise di non rischiare la vita dei soccorritori, tuttavia il fatto che Attilio fosse lì in un momento storico così importante ci da un’idea di quanto fosse già radicata in lui la passione per l’esplorazione delle caverne.
Erano gli anni in cui stavano riprendendo le esplorazioni della Spluga della Preta, la mitica cavità lessinica, di cui il Tilio aveva sempre sentito parlare e sulla cui imboccatura si era affacciato numerose volte. È così che nel 1958 lo vediamo protagonista della prima spedizione dei Falchi alla Preta, in qualità di incaricato delle ricerche geologiche.
Nel 1960 partecipa come allievo al secondo corso nazionale di speleologia della neonata Scuola Nazionale di Speleologia del CAI. Allievo ma con ormai svariati anni di attività da autodidatta, finisce infatti alla fine a fare la parte dell’istruttore…
Lo stesso anno tornerà nella Preta insieme coi Falchi anche nel 1960 e poi nella superspedizione del 1962, insieme ad altri amici della neofondata Società Amici della Natura. In quest’ultima occasione scenderà fino alla base del terzo pozzo a quasi 400 metri di profondità in compagnia col Prof. Mario Bertolani di Modena. Saranno i primi ad effettuare studi sulla meteorologia ipogea e sulla stratigrafia dell’abisso.
Il 1964 vede il Tilio impegnato nell’organizzazione della spedizione alla Preta della SAN, conclusasi tragicamente con l’incidente mortale della speleologa Marisa Bolla Castellani. Attilio fu il primo a tentare di soccorrere la ragazza, rischiando la vita pure lui dato che la scala a corda si era sganciata dall’attacco principale ed era trattenuta solo da un piolo incastrato in uno spuntone di roccia. Una storia che il Tilio preferisce non raccontare e che l’ha segnato profondamente.
Nello stesso anno Attilio organizza una serie di spedizioni della SAN in Puglia, grazie all’appoggio del Prof. Parenzan. È durante una di queste campagne che viene esplorata la Grava della Ferratella, la cui profondità venne stimata in ben 320 metri. L’accesso venne poi ostruito e da allora nessuno è mai riuscito ad accedere alla misteriosa voragine.
Un altro capitolo importante dell’attività speleologica del Tilio riguarda le ricerche speleologiche nella valle dei Covoli di Velo, una zona ricchissima di grotte e di grande interesse paleontologico. Già negli anni ’50, allargando un pertugio in fondo alla Grotta Inferiore, Attilio aveva individuato una grande sala, la cui paleosuperficie risultava assolutamente intatta, con decine di scheletri integri di orso e leone delle caverne. La scoperta rimase segreta e il cunicolo venne occluso, ma ben presto saccheggiatori e scavatori abusivi riaprirono il passaggio distruggendo il deposito paleontologico. Negli anni successivi Attilio tentò in tutti i modi di chiudere l’accesso alla grotta, onere che spettava alla sovrintendenza dei Beni Culturali che però non si era mai adoperata in tal senso. Ci sono voluti oltre quarant’anni per riuscire a proteggere il sito efficacemente e se non fosse stato per il Tilio e per un convegno sulle grotte da lui organizzato insieme al Museo civico di Storia Naturale di Verona e alla Commissione Speleologica Veronese, probabilmente la grotta sarebbe ancora oggetto dei devastanti scavati dei venditori di reperti paleolontologici. Eppure pochi si sono adoperati per ringraziare il Tilio per tutti gli sforzi per salvare quell’enorme patrimonio scientifico.
Negli anni successivi l’attività speleologica del Tilio si è ridotta, concentrandosi maggiormente sugli aspetti paleontologici e sulle sue “amate” ammoniti. Tuttavia non sono mai mancati i consigli e l’interesse per ciò che veniva esplorato nei Monti Lessini, rimanendo in questo sempre un “esploratore” fino nel profondo, una passione per ciò che è ignoto sicuramente derivata anche dalle tante esperienze speleologiche fatte negli anni ‘50, ‘60 e ‘70.
Un’attività speleologica fatta di grandi soddisfazioni, amicizie, ma anche fatti tragici che tuttavia non hanno mai fermato la sua passione per la ricerca e per tutto ciò che rimane ignoto sotto la superficie della terra.
E così l’Attilio rappresenta un grande punto di riferimento per tutti i giovani speleologi che negli anni sono passati dalla sua casa a sentire i suoi appassionanti racconti di esplorazioni e discese. In quella stanza, intrisa dal fumo del trinciato forte, sono nati sogni, idee, progetti, nuovi gruppi speleologici, esplorazioni…
Quando negli ultimi anni passavo di lì con i corsi di speleologia, alla vista di tante nuove persone che seguivano le sue orme di bambino verso il Covolo, i suoi occhi erano sempre lucenti di felicità. Ci fermavamo nella sua mitica casa, scambiavamo poche parole, quelle che bastavano per farci capire che era come se lui fosse sempre con noi durante le nostre discese ed esplorazioni. Era un rivivere reciprocamente storie ed emozioni, le nostre di giovani speleologi, le sue di grande patriarca della Lessinia.
Ora che il Tilio non c’è più, mi piace pensare che scendendo nel Covolo forse saremo capaci di sentire la voce di quel bambino, che con un filo di lana e pochi cerini, si sta avventurando nella più eccitante esplorazione della sua vita.

Francesco Sauro

mercoledì 20 marzo 2013

Un altro mondo




















Imawarì Yeuta nel linguaggio Pemon Kamarakoto significa “la grotta dove abitano gli Dei della montagna”, un luogo irraggiungibile ai mortali, ricco di acque purissime, cristalli e statue mostruose scolpite nel corso di milioni di anni.
Dopo 15 giorni passati sull'Auyan Tepui, la montagna del Diavolo, ci troviamo di nuovo con i piedi per terra e ancora non riusciamo a realizzare che quel mondo mitologico esiste davvero e si estende nelle viscere del massiccio con dimensioni che non avremmo mai potuto immaginare. Ripensiamo a tutte le difficoltà affrontate per organizzare una spedizione così complessa e costosa, in un paese, il Venezuela, difficile sotto moltissimi punti di vista. Abbiamo insistito perché le bellezze naturali di queste terre e il fascino dei tepui sono, definitivamente, irresistibili.
Il primo accesso al sistema, la Sima del Viento, ci ha accolto permettendoci di installare un campamento che ha accolto ben 12 persone, 7 italiani e 5 venezuelani, uniti dall'amicizia, dalla curiosità e dalla voglia di esplorare. Siamo scesi nella grotta senza sosta, qualcuno di noi senza mai prendersi un giorno di riposo. La grotta si è svelata ai nostri occhi con un crescendo di emozioni, sorprendendoci ogni giorno, sempre più immensa, complessa e affascinante.
Due torrenti, quello dei venezuelani e quello degli italiani, si uniscono in una confluenza spettacolare per dare origine al Fiume delle Mille Colonne. Contemporaneamente esploriamo un altro torrente che ci porta in ambienti amplissimi e labirintici, entriamo in Agoraphobia, la Galleria Saul Gutierrez con i sui incredibili nidi di Guaciaro. Pensiamo che non si possa chiedere di più ma ecco l'Universo del Silenzio si spalanca di fronte a noi , ambienti di oltre 70 metri di larghezza, fossili, dai pavimenti di cristallo. E poi le Lagune Blu, la Sala delle Pietre Danzanti e ecco, mentre urliamo dall'emozione, l'immenso Salone Paolino Cometti, 250 metri di lunghezza e 150 di larghezza massima.
Analisi dell'acqua, set fotografici, misure e discussioni scientifiche. Come è possibile tutto questo? Siamo spesso increduli di fronte a formazioni sconosciute, mai descritte prima, mai immaginate.
Gli ultimi giorni entriamo in tre per un campo interno di più giorni, l'esplorazione e il rilievo si susseguono in modo incalzante con un ritmo di oltre 2 km al giorno, grazie allo Sniper, il nuovo strumento rivoluzionario progettato dai nostri amici polacchi, senza il quale probabilmente sarebbe stato impossibile in così poco tempo descrivere la complessità di quegli ambienti (Grazie! Grazie! Grazie!).
Risalendo il grande fiume verso monte sbuchiamo infine sotto una grande cascata che si affaccia al blu del cielo: è la Sala di Ratò, il Dio dell'acqua.
David mi guarda e mi dice: “Solo gli Dei conoscono questo luogo... e ora noi... non riesco a rendermi conto di quanto siamo privilegiati”. È questa la parola che ricorre in continuazione nei nostri pensieri: “privilegiati”.
L'ultimo giorno torniamo alla favolosa realtà della superficie dell'altopiano dove troviamo Raul, Julio il pilota e gli amici Maritza e Rodolfo. Una bottiglia di vino viene stappata mentre scarichiamo i dati sul computer: 15450 metri in soli 12 giorni. La festa continua il giorno successivo quando scendiamo tutti in grotta e passeggiamo con calma, insieme, nelle gallerie. Negli occhi lucidi dalla commozione si specchiano laghi, cascate e il colore rosato delle quarziti. Non ci poteva essere finale più bello.
Che altro aggiungere? È stata un'esperienza fantastica, resa possibile ancora una volta dalla grande amicizia che ci lega a Raul Arias, il più grande sponsor di questo progetto, e al nostro “hermano” Freddy Vergara e tutti gli amici del Teraphosa Exploring Team, che hanno creduto fino in fondo a questo sogno. Fondamentale poi è stato il supporto e l'aiuto sul campo ricevuto da InParques, che ha permesso e supervisionato tutte le operazioni. I guardiaparques Jesus Lira e Virgilio Abreu si sono calati nella grotta con noi e sono diventati nostri compagni in questa grande avventura. Un grande aiuto è arrivato anche dall'esercito venezuelano, grazie al Colonnello Ulises Cardona e all'appoggio del Generale Maggiore Cliver Acala Cordones, che ci hanno aiutato moltissimo nell'affrontare i problemi che si venivano a verificare nella fase organizzativa.
L'esplorazione della grotta è completata, ma rimangono ancora moltissimi interrogativi scientifici che meriteranno altre spedizioni in futuro. Sempre più i tepui si svelano come un luogo magico, un “altro mondo” dove gli interrogativi si diramano portando a nuove domande, mentre l'immaginazione fa fatica a tenere il passo della realtà.
Per tutti noi, dopo aver vissuto questa fortissima emozione, ora è impossibile smettere di sognare.

Francesco Sauro



Hanno partecipato alla spedizione: Virgilio Abreu, Raul Arias, Alfredo Brunetti, Carla Corongiu, Vittorio Crobu. Antonio De Vivo, Jo De Waele, Fulvio Iorio, David Izquierdo, Jesus Lira, Francesco Sauro, Freddy Vergara, Jesus Vergara, e il pilota dell'elicottero Julio Testaferro.


La spedizione è stata possibile grazie al permesso per esplorazioni speleologiche concesso dal Direttore Generale Settoriale di InParques Ing. Carlos Cova e agli sponsor Geotec SPA, Raul Helicopteros e dai seguenti partner tecnici, Dolomite, Intermatica, Ferrino, Amphibious, De Walt, Allemano Metrology, Chelab, Scurion, GTLine, New Foods, Bialetti, MountainHouse.

Un grande grazie a Ortensia Berti e alla comunità di Kavak, a Felipe Campisi e il suo Robinson, a Karina Ratzevicius di Raul Helicopteros, Maritza Morelli, Rodolfo Getzler, all'Hotel Gran Sabana e a Elements Adventure per il supporto logistico.

Hanno patrocinato: Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia Julian Isaias Rodriguez Diaz, Fondazione Dolomiti Unesco, Società Speleologica Italiana, Commissione Centrale per la Speleologia CAI, CONI Veneto, Istituto Italiano di Speleologia. 








giovedì 17 gennaio 2013

E se domani


Sabato 12 gennaio 2013 è andato in onda il programma "E se domani" su RAI 3, interamente dedicato alla Sardegna.
Tra i vari servizi segnaliamo quello sul Corso ESA CAVES tenutosi nell'Isola Settembre dell'anno scorso.
Il servizio racconta il perchè l'Ente Spaziale Europeo (ESA) abbia scelto proprio le grotte sarde come luoghi ideali per fare un corso di addestramento per astronauti provenienti dall'America, il Giappone, la Russia, il Canada e l'Europa, e ricostruisce alcune delle principali fasi di addestramento.
Si intervistano Loredana Bessone in qualità di Direttrice del Progetto CAVES, Francesco Sauro, Istruttore di Speleologia del CAI, e Jo De Waele, coordinatore scientifico del Corso, insieme ad altri speleologi figuranti parte dello staff CAVES (Vittorio Crobu, Sirio Serchi).
Le riprese sono state effettuate principalmente alla grotta di Su Mannau grazie all'appogio del Gruppo Grotte Fluminese.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-d2ea35a1-41a1-4e63-b162-cfdaec2b9bf2.html

Buona visione

  

sabato 12 gennaio 2013

Quando il viaggio si fa infinito


Il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà, come per penetrare in un mondo inesplorato che ha l'apparenza di un sogno.“  Guy De Maupassant

Questa volta il viaggio è stato davvero lungo. Non tanto per i 6 giorni passati in grotta, ma soprattutto per quel senso di lontananza che si può assaporare solo recandosi nelle remotissime regioni di Samarcanda, nel complesso dei Piani Eterni.

Mentre camminavamo, strisciavamo, arrampicavamo, mi chiedevo proprio che cos’è che ci spinge così lontano, oltre ogni logica di buon senso. Attraversando grandi gallerie, risalendo torrenti e canyon, qual è l’ultima meta che ci prefiggiamo?
Ora, guardando il rilievo di questa grotta senza fine, ripercorrendo con un dito tutto quel viaggio di decine di ore, mi sembra tutto così irreale. Una sorta di gioco da tavolo, dove i nostri corpi sono come pedine, la nostra mente un giocatore-osservatore quasi distaccato, perfettamente cosciente che quella non è realtà ma solo sogno. Le botte, il freddo, la fame, la sete, il brivido di entrare nell’acqua gelida di un laghetto, tutto a posteriori diventa non-sensazione, come non fossimo stati veramente noi a essere laggiù a percorrere quegli spazi. E così siamo pronti ancora una volta a tornare in quei luoghi remoti, senza paura.

Quest’ultima esplorazione l’abbiamo vissuta insieme a compagni di eccezione, tre amici russi arrivati dagli Urali e dalla Repubblica del Bashkortostan: Sergey, Serge e Gulnaz. Ormai mi trovo così bene con questi speleologi russi, preparatissimi e determinati, che mi pare di averli come compagni da sempre. Ci siamo proprio divertiti, mentre nella grotta rieccheggiava un gran miscuglio di parole in russo, inglese e italiano.

Ormai le esplorazioni si sono avvicinate talmente all’esterno, alle pareti del canalone tra Pizzocco e Cima di Valscura, che la ricerca di una nuova entrata sarà sicuramente il leitmotiv del 2013.

Chissà come sarà arrivare laggiù attraverso un’altra strada?
Forse solo allora scopriremo quanto siamo andati lontano.


All'ingresso del PE10.

Il simpatico laghetto che da accesso alle regioni più remote di Samarcanda. 

Sergey, Serge e Gulnaz di ritorno dall'esplorzione del Ramo dei Russi.
La grande galleria fossile che si sviluppa sopra il canyon di Samarcanda. 

Galleria sviluppata lungo una faglia nelle regioni di Samrcanda.