domenica 13 marzo 2011

Le radici del mare

La canoa avanza sull’acqua liscia della God’s Higway. Siamo stanchi, immersi in uno strano silenzio misto a riverenza. Ancora poche centinaia di metri e questo fiume, l’Underground River, ci lascerà scivolare verso il mare. Superata una curva, al fruscio delle pagaie sull’acqua, si aggiunge un lamento lontano, un rumore che si fa sempre più forte e avvolgente. Si riconosce la voce del mare, l’infrangersi delle onde, il suo urlare inconfondibile. Smettiamo di pagaiare, la canoa viene trasportata dalla corrente, un insieme di fiume e marea uscente. Poi finalmente all’improvviso la volta della galleria lascia spazio alle fronde degli alberi e a un cielo stellato mozzafiato.

La prua della barca si arena nella sabbia e approda nel piccolo porticciolo a poche decine di metri dalla foce. Scendiamo e, dopo ancora un attimo di esitazione, ci buttiamo in mare, scontrandoci con la schiuma delle onde, come quell’acqua che fin qui abbiamo voluto seguire, nel suo percorso sotterraneo attraverso l’imponente monte Saint Paul.

Ho sempre pensato che il percorso sotterraneo perfetto sia riuscire a seguire l’acqua nel suo ricongiungersi dal cielo alla terra e quindi all’oceano. Un qualcosa di magico che a Palawan è possibile assaporare in un modo che non avrei mai immaginato. Pochi giorni fa decidevamo di percorrere la traversata del sistema, da dove il fiume di Kabayugan diventa l’UNDERGROUND, fino al punto in cui esso ritorna alla luce e diventa semplicemente “Mare Cinese Meridionale”.

L’obbiettivo era quello di campionare le acque lungo tutto il percorso, per poi analizzarle e studiarle presso il laboratorio della Chelab. L’acqua infatti ci può dire molte cose su questo mondo sotterraneo. È infatti l’abbraccio tra le acque dolci che scendono dalla montagna e l’acqua marina spinta all’interno per chilometri dalle maree, che rendono questa grotta eccezionale, un luogo dove i confini si confondono amplificando ogni aspetto, da quello speleogenetico a quello biologico.

La traversata è un viaggio spettacolare attraverso gallerie ciclopiche, eleganti anse fluviali larghe decine di metri, spiagge sabbiose immense, castelli di concrezione imponenti. Si nuota lungo il fiume per centinaia di metri, increduli, attraversando ambienti difficili da descrivere. Una traversata oltretutto facile, dove è sufficiente seguire il fiume per trovare la strada, senza ostacoli particolari.

Dopo quattro chilometri dal gigantesco ingresso a monte del Daylight, si arriva al sifone del Rockpile. Qui si può decidere di abbandonare l’acqua per inoltrarsi nei saloni fossili superiori, attraversando, immersi nel buio, l’Italian’s Chamber, una delle sale più grandi del mondo, con i suoi trecento metri di lunghezza per cento di larghezza. Da qui si giunge alle immense Gallerie Balingsasayao, la Città delle Rondini, dove migliaia di Salangane rientrano al proprio nido nella notte, emettendo il loro verso caratteristico di ecolocazione.

E infine di nuovo ecco il fiume con i suoi 5 km di gallerie allagate, fino all’outflow, una pagaiata tranquilla attraverso ambienti unici. Dopo aver lasciato sulla sinistra l’affluente dell’Australian Inlet, si giunge ben presto alla zona dove si dipartono le Gypsum e le Mud Galleries, per poi trovarsi al di sotto dell’immenso salone della Chrocodile Chamber e poco dopo vedersi passare oltre la spiaggia di approdo alla galleria che porta alla Navigator’s Chamber, immensa sala da agorafobia. Infine, la God’s Higway, nome appropriato per una delle gallerie di grotta più belle del mondo, porta al salone della Cattedrale, dove un immenso “Guardiano” (una stalagmite di 15 metri d’altezza) avverte che ormai l’outflow è vicino. Ma poco prima di uscire ci si lascia ancora sulla destra le alte spaccature allagate che portano al Gaia Branch, luoghi che hanno ancora molte sorprese in serbo.

Passandoci, quel giorno della traversata, pensavo alle gallerie scoperte nei giorni precedenti in quel settore dagli altri compagni e che sarebbe stato bello andarci, dato che i prossimi due giorni rimanevano gli ultimi per molti componenti della spedizione.

Mercoledì 9 marzo GAIA BRANCH

Gianpaolo mi guarda incredulo dall’orlo di questa china di detrito che si affaccia su un nero insondabile, un salone gigantesco che ci lascia ancora più sgomenti. Jo finisce di scrivere sul quaderno di campagna l’ultimo tiro del rilievo. Oltre, l’ignoto. Dietro di noi 3,5 km di gallerie nuove, di cui 2 km esplorati solo nelle ultime ore, in questa ultima nostra punta che ha tanto l’aspetto di un regalo fattoci da una grotta benevola. Una signora che ci dice: “non avete ancora capito nulla… Io sono molto più di un fiume: sono torrenti, fiumi, mari, tutti succedutisi in un tempo che non potrete mai afferrare compiutamente. La mia complessità è oltre la vostra portata, ma in fondo sono buona, vi lascio sbirciare…”

Ci giriamo, pensiamo al ritorno, alle immense gallerie che abbiamo illuminato per la prima volta, alle foreste di eccentriche, le praterie di cristalli, che ci hanno riempito gli occhi con il loro scintillare. Un fiume antico… chissà quanto doveva essere impetuoso, e chissà dove sarà ora, perduto in altre gallerie, o forse semplicemente affondato nel mare.

Tutti questi mondi. Radici del Cielo come qualcuno aveva detto.

Ma anche Radici del Mare.

Francesco Sauro

(scritto durante il volo Doha-Roma il 12 marzo, al ritorno del primo gruppo della spedizione)

Altre foto e storie su www.laventa.it/blog



Il gruppo della traversata all'ingresso del Daylight.

La prateria di eccentriche nelle nuove gallerie del Gaia Branch.

Cielo, mare, terra.