martedì 16 dicembre 2008

Sardegna...

È strano come a volte certi luoghi entrino prepotentemente a far parte della propria vita. Sono passati anni dalla prima visita alla Sardegna speleologica.
Quella volta avevo bruciato un paio di settimane di liceo ed ero partito all’avventura con un amico nuovo che sarebbe poi diventato un grande e insostituibile compagno di tante avventure. Ricordi Andrea? Quanta meraviglia di fronte ai cristalli di Suttaterra de Su Predargiu, alle gallerie di Su Bentu, ai laghi della Donini… e poi la meravigliosa Su Palu. Già allora ci eravamo fermati a Urzulei, ospiti di Antonio, che ci aveva preparato il nostro primo maialetto… prima di finire decisamente arzilli di canonau a campeggiare sul passo di Jenna Silana!


Già quella volta, lasciando le coste dell’isola sul ponte di un traghetto spazzato dal vento, sapevo che sarei tornato, perché certi posti ti entrano nel cuore e non ne escono più… E infatti eccoci qui, per l’ennesima volta, dopo alcuni altri viaggi di cui conservo teneri e fortissimi ricordi, in compagnia di persone sempre importanti.
Questa è la terza volta di quest’anno che torno in Sardegna, e ormai mi sento anche un po’ parte di questo mondo incantato che si trova al di là del mare.
La voglia di esplorare, vedere, ci ha portati a trovare anche qui grandi amici che hanno i nostri stessi sogni, che vivono di avventure grandi, di sfide esplorative infinite che ci fanno provare gli stessi sentimenti. Così ci concediamo il meraviglioso lusso di passare un finesettimana a scavare un inghiottitoio nel Supramonte di Baunei, Bacu Dolcolce, come se ci trovassimo sulle nostre montagne di casa. In mezzo ai massi, sul fondo di un budello svuotato a fatica, soffia l’aria di un mostro di calcare che sarà sempre e senza dubbio troppo grande per noi. Ma ci divertiamo a solleticarlo, e a sognare che prima o poi riusciremo a svegliarlo.
Così, attorno al fuoco alla sera, finché un generoso maialetto si abbrustolisce alla fiamma, parliamo e ridiamo, come se stessimo lì da sempre… come se la lontananza geografica non esistesse. Andrea finisce per divorare tutto del maialetto, compreso l’occhio! Eh… ormai siamo dei veri selvaggi…
E poi ieri con Vitto, sotto un cielo grigio, con il mare solcato da onde spumeggianti, a salire in cima a Pedra Longa e ad affacciarsi sugli strapiombi di un luogo dove il mare, le montagne e il mondo sotterraneo si uniscono in un intreccio magico ancora tutto misterioso. Che bella terra la Sardegna… e che bello sentirsi anche noi un po’ parte di quei luoghi… Grazie amici, ci state facendo un regalo che non ha prezzo.
Alla prossima!

martedì 2 dicembre 2008

Nell'Antro di Dedalo

Chi lo avrebbe mai pensato?
Sei in boxer che vaghi tra i corridoi di uno stabilimento termale pronto per partire per un’esplorazione estrema… Considerando gli uomini orribili mezzi nudi che ti circondano, ci sarebbe da avere veramente paura. E invece i pericoli sono ben altri.
In mezzo a un corridoio di mattonelle bianche si trova una pesante porta di ferro. Basta aprirla un attimo e tutto l’ambiente viene invaso da un vapore denso. La sensazione è simile a quando si cerca di vedere a che punto di cottura è la pasta nel pentolone bollente. Ma non siamo in un ristorante. Oltre la porta infatti una volta di roccia grondante ti accoglie nell’Antro di Dedalo, la più famosa delle “Stufe di San Calogero”. La gente di Sciacca ha sempre pensato che il Monte Kronio sia un grande vulcano ormai spento. Proprio dalla cima infatti fuoriescono da molte fratture e caverne vapori caldissimi, circa 39° di temperatura. Ora sappiamo invece che il monte non è altro che un ammasso di roccia calcarea traforata da mille cavità scavate proprio dal flusso vaporoso proveniente dalle profondità della terra.
Secondo la leggenda queste caverne sarebbero state esplorate da Dedalo circa mille anni prima dell'era cristiana: Dedalo, fuggito da Creta per paura che Minosse lo truicidasse, giunse in Sicilia dove venne accolto da Cocalo, re sicano che viveva nella città di Inico. Grato per l'ospitalità ricevuta, Dedalo costruì per il re il Castello di Camico sulla cima del Monte Kronio, nel quale il sovrano custodì i suoi tesori. Minosse, venuto a conoscenza del nascondiglio di Dedalo, raggiunse la Sicilia, in territorio agrigentino. Subito dopo, inviò dei messi a Cocalo affinché gli consegnassero il fuggiasco. Cocalo accettò la proposta e invitò Minosse al suo castello, ma mentre questi fece il bagno, lo fece soffocare dalle sue figlie, restituendo il cadavere al suo popolo e giustificando la morte del re come se fosse stata causata dall'essere scivolato nell'acqua calda.
Mah… speriamo di non fare anche noi la fine di Minosse!!
Siamo pronti, dotati di respiratori e gilet ghiacciati abbiamo il compito di trovare la prosecuzione di queste grotte oltre il Pozzacchione, limite estremo delle esplorazioni triestine degli anni 70’. Nella nostra prima discesa abbiamo lavorato alla preparazione delle attrezzature per le riprese video del documentario. Quaranta minuti al massimo di tempo, per scendere una scala di 40 metri, arrivare in galleria, montare il braccio crane, sistemare i fari e poi risalire… già, risalire, quei quaranta metri di scale fanno proprio paura. Se non hai calcolato bene i tempi il cuore comincia a battere all’impazzata e non riesci più a fermarlo… puoi solo sperare che non scoppi.


Questa volta invece lascio gli altri lavorare al video mentre io avanzo in compagnia degli amici triestini. Scendiamo veloci attraversando la Galleria Di Milia. Ad un certo punto passiamo vicino a un grandissimo vaso perfettamente conservato. Chissà quanto sarà antico… che sia stato Dedalo a portarlo quaggiù?
Quando arriviamo al Pozzacchione, Spartaco è già avanti che trapana e traversa in testa. Il calore comincia a farsi sentire insopportabile. Nonostante questo ci infiliamo in una fessura inesplorata dove scendiamo un breve saltino di un metro e mezzo. Una baggianata in condizioni normali.

Eppure quando lo supero mi rendo conto che è come se avessi sceso un pozzo da 50. Mi fermo un po’ preoccupato. Spartaco dice che oltre chiude e ho quasi una sensazione di sollievo. Risalire quei 150 centimetri mi costa una fatica allucinante. Ci riposiamo un attimo e poi Davide individua un altro passaggio effettivamente più invitante. Avanza e sparisce dalla nostra vista. Pare che ci sia una grande galleria, presto la sua voce si fa lontana, la grotta continua nella direzione giusta. Non più di un minuto dopo il nostro esploratore è di ritorno. Guardiamo il cronometro: 50 minuti. Dobbiamo uscire, subito. Altrimenti si muore. Ogni passo costa una fatica inspiegabile, ma è anche un avvicinarsi all’uscita. La penultima rampa di scale mi fa andare il battito a mille. Mi fermo ma lui non rallenta.. Qui non si torna indietro. Così avanzo lentissimamente fino alla porta di ferro, ben sapendo che se ci fossero state altre scale probabilmente ora non sarei qui a raccontarlo.
All’uscita mi butto a terra e vengo accolto da Salvatore, il custode delle terme. Mi spoglio completamente e lui mi porge un sudario bianco che ben presto dipingo con una sindone di fango. Poi mi porta un caffè… lo ringrazio, anche se non è esattamente quello che mi serve considerando la frequenza cardiaca non ancora normalizzata.
Mi dirigo verso il mio lettino e lungo il corridoio incontro tutti gli altri, da poco risaliti dal set cinematografico. Siamo tutti avvolti nei sudari, sembriamo proprio dei senatori romani. Mi siedo e racconto.
Dalle grandi vetrate entra una luce blu e rossa allo stesso tempo, un tramonto spettacolare sul Mediterraneo. Tutto appare surreale. Magico.
Mi immagino Dedalo che con le sue ali di cera vola oltre l’orizzonte, oltre anche al Castello di Camico, oltre anche a questo labirinto.